Maria Mirarchi

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Chi conosce Maria Mirarchi sa che i suoi occhi sono sempre limpidi e luminosi e le sue labbra pronte ad aprirsi in un sorriso radioso.
Chi conosce i suoi quadri, capisce da quali abissi dell’anima emergano le radici di questa solarità.
Nelle sue opere, frutto di momenti di elaborazione e liberazione di emozioni incontenibili, il nero è un colore sempre presente, a tracciare in modo volitivo e sfuggente ad un tempo, i sentieri attraverso i quali si narrano vicende accadute in territori primitivi o inesplorati.
Le figure umane sono sempre rappresentate come ombre mute e scure che, provenienti da epoche e luoghi lontani, vagano per il mondo alla ricerca di qualcosa che gli restituisca voce e colore e per segnalare contemporaneamente a chi osserva, una necessità, un dovere urgente e arcaico: fermarsi.
Per ascoltare l’eco di un dolore, di un tradimento, di una ferita, di una perdita, di un amore, di un sogno, di una speranza... di un discorso fra l’Io e il Noi.
E al Noi rimandano i fili e i tralicci della luce, ampiamente ritratti, che si dipartono in ogni dove trasportando suoni, immagini, energie, che avventurosamente stanno, o corrono, o volano,  a intrecciare destini e tessere trame di vita ovunque abitino desideri o bisogni. La luce, che appare a volte come spiraglio, altre come infiltrazione, o casualità, o evocazione, o totem, rinvia sempre ad una scoperta, un ritrovamento, che richiede un’altra fermata: il saluto, l’adorazione.
Nel bene e nel male dunque, l’autrice dice nei suoi quadri: Bon jour a tout le monde!
Antonia Mirarchi


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